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MU il maledetto

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[CORE] “MU il maledetto” 4:00 – @2025 (testi: Filippo Biagioli; voce e musica: AI Suno)

“MU il maledetto”: Grido di Rabbia e Desiderio di Giustizia di Filippo Biagioli

Il brano “MU il maledetto” di Filippo Biagioli si rivela, con la lettura del suo testo, non solo un’esplorazione di atmosfere oscure, ma un potente e diretto sfogo di dolore, rabbia e desiderio di giustizia. La canzone emerge come un grido lancinante di un uomo reso invalido, come egli stesso dichiara, all’età di 22 anni, e che si trova a fronteggiare l’ingiustizia di vedere il colpevole libero.

Le parole sono un fiume in piena di risentimento. L’appellativo “maledetto essere spregevole“, rivolto a un “vampiro che porta via la vita e l’anima”, svela un’esperienza traumatica profonda, un’aggressione che ha segnato fisicamente e spiritualmente l’autore. L’accusa si estende a un “voi”, identificato come coloro che hanno abusato della “buona fede” e del loro “ruolo”, elevando la questione da un piano individuale a una critica più ampia verso dinamiche di potere e di sopruso.

Il ritornello, con il suo ossessivo “MU il maledetto / muori bruciato dalle fiamme nel tuo letto!“, è un’invocazione di vendetta, un desiderio ardente che la giustizia, apparentemente assente nel mondo reale, si compia attraverso un destino terribile per il colpevole. L’immagine del “vampiro perfetto che ti succhia l’anima” e che “ti sfrutta e poi ti sputa” è una metafora potente della deprivazione subita, non solo fisica ma anche emotiva e psicologica.

Le strofe successive sono un susseguirsi di immagini forti e viscerali: il “fango” che cola dai canini, la pretesa sui “bambini” (forse intesi come gli innocenti, i vulnerabili), e il desiderio catartico di un “paletto dritto nel petto”. Il cuore definito “cretto” è il nucleo di questa malvagità percepita.

La determinazione alla vendetta si fa ancora più esplicita nel prosieguo del testo: “Pezzo di merda, vivi libero finché non ti troverò”. Tuttavia, emerge anche una forza interiore, una resilienza inaspettata: “Non mi hai rovinato la vita come speravi / ma la mia vendetta è quella che non bramavi”. Questa “vendetta” sembra trascendere la semplice ritorsione fisica, puntando forse a una giustizia morale o a una rivelazione della verità.

Il finale della canzone si carica di un tono quasi apocalittico, con la speranza che il colpevole si dissolva, che non rimanga “niente da salvarne”. Le immagini del fango che sgorga dagli occhi e della “giusta casa” nel “letame” sono espressioni di un disprezzo profondo e di un desiderio di degradazione per chi ha causato tanto dolore.

Infine, l’invettiva si sposta anche su coloro che, pur professando la fede (“Vi cospargerete il capo per Pasqua”), tradiscono i loro principi con “astuzia”. Questo allarga ulteriormente il raggio dell’accusa, includendo una critica all’ipocrisia e alla falsità.

“MU il maledetto” si configura dunque come un’opera intensa e sofferta, un urlo di un’anima ferita che cerca giustizia e che, attraverso la musica, trasforma il proprio dolore in un atto di accusa potente e indimenticabile.