• Mar. Nov 11th, 2025

L’Ombra della Rivalità: Quando la Vita degli Altri Diventa la Propria

tifoso genoano con colori Sampdoria

Premessa

Durante la pandemia di Covid-19, dicevo che gran parte della popolazione avrebbe avuto bisogno di aiuto psicologico. I vari, osannati veggenti, come nostradamus o baba vanga, sono considerati tali, solo da chi lucra sulla loro pelle. Non ci vuole un profeta per “vedere e prevedere” certe cose. Io, avevo passato un’esperienza molto simile alla pandemia, dopo l’incidente. La preoccupazione del chirurgo che mi operò, non era rimettermi in piedi a 22 anni, ma farmi tornare in società, dopo quel lunghissimo periodo di convalescenza. Mi ci sono voluti in effetti, anni e anni di psicoterapia… Dunque oggi, prendendo in esame (qualcosa che conosco bene) il comportamento di alcuni “tifosi” del genoa cricket and football, parliamo di cosa è, e come si affronta il problema di coloro che lasciano senza cura, alcuni problemi psicologici.

Nel vasto panorama delle dinamiche umane, esiste un fenomeno psicologico che porta alcuni individui a distogliere lo sguardo dalla propria esistenza per immergersi morbosamente in quella altrui, trovando persino piacere nelle altrui cadute. Questa tendenza, sebbene in diverse gradazioni, può manifestarsi in vari contesti sociali. Oggi, una delle sue espressioni più estreme e inquietanti nel mondo delle rivalità sportive, è quella tra i tifosi di Genoa e Sampdoria.

Il punto

Questo comportamento non è semplicemente una questione di tifo acceso o sfottò, ma affonda le radici in dinamiche psicologiche complesse, spesso legate a una mancanza di autoefficacia percepita o a un bisogno irrisolto di affermazione. Quando la propria vita non offre abbastanza stimoli o successi, è più facile proiettare aspettative e frustrazioni sull’esterno, identificandosi con le vittorie o, paradossalmente, con le sconfitte del “nemico”. Il fallimento altrui diventa così una sorta di riscatto vicario, un momentaneo sollievo dalla propria insoddisfazione.

Mancanza di Autoefficacia percepita

La “mancanza di autoefficacia percepita”, ovvero la convinzione di non possedere le capacità necessarie per affrontare con successo determinate situazioni o raggiungere obiettivi, è un aspetto fondamentale della nostra psiche che influenza profondamente il benessere e il comportamento. Non è una “patologia” nel senso clinico stretto del termine, ma piuttosto una costrutto psicologico che può avere impatti significativi sulla salute mentale (es. correlazione con ansia e depressione) e sulla qualità della vita.

Fortunatamente, l’autoefficacia non è una condizione immutabile e può essere sviluppata e potenziata nel tempo. Le strategie per rafforzarla si basano principalmente sui principi della Teoria Sociale Cognitiva di Albert Bandura, che ha identificato quattro fonti principali dell’autoefficacia:

1. Esperienze di padronanza (o esperienze dirette di successo)

Questa è la fonte più potente per costruire un solido senso di autoefficacia. Quando riusciamo a superare delle sfide o a raggiungere degli obiettivi grazie ai nostri sforzi, la nostra fiducia nelle nostre capacità aumenta.

Come applicarla:

  • Porsi obiettivi realistici e graduali: Iniziare con compiti che siano impegnativi ma raggiungibili. Raggiungere piccoli successi “a cascata” costruisce una solida base di fiducia.
  • Suddividere compiti complessi: Se un obiettivo sembra troppo grande, scomponilo in passi più piccoli e gestibili. Ogni passo completato sarà un’esperienza di successo.
  • Tenere traccia dei progressi: Riconoscere e celebrare anche i più piccoli successi e miglioramenti aiuta a mantenere una prospettiva positiva e a rinforzare la fiducia. Un diario dei successi può essere utile.
  • Non temere il fallimento, ma imparare da esso: Vedere i fallimenti come opportunità di apprendimento e miglioramento, piuttosto che come prove della propria inefficacia.

2. Esperienze vicarie (o modellamento)

L’osservazione di altre persone che affrontano con successo sfide simili alle nostre può influenzare positivamente la nostra autoefficacia. “Se ce l’hanno fatta loro, posso farcela anche io”.

Come applicarla:

  • Cercare modelli di ruolo positivi: Identificare persone che hanno raggiunto obiettivi simili ai propri, soprattutto se sono partite da condizioni simili. Osservare le loro strategie e il loro impegno può essere molto motivante.
  • Apprendere dall’osservazione: Non limitarsi a guardare, ma cercare di capire quali azioni, strategie e atteggiamenti hanno portato al successo del modello.
  • Confronto costruttivo: Utilizzare il confronto con gli altri non per sminuirsi, ma per trarre ispirazione e strategie utili.

3. Persuasione verbale

Le parole di incoraggiamento e il supporto da parte di persone significative (familiari, amici, mentori, professionisti) possono influenzare la nostra percezione di autoefficacia. Essere incoraggiati a credere nelle proprie capacità può fare una grande differenza.

Come applicarla:

  • Circondarsi di persone supportive: Relazionarsi con chi crede in noi, ci incoraggia e ci offre feedback costruttivi.
  • Utilizzare affermazioni positive: Parlare a se stessi in modo positivo e incoraggiante, riconoscendo il proprio valore e le proprie capacità. Eliminare l’auto-criticismo eccessivo e introdurre l’autocompassione.
  • Accettare i complimenti: Imparare ad accogliere le descrizioni positive che gli altri fanno di noi.

4. Stati fisiologici e affettivi

Le nostre sensazioni fisiche ed emotive (ansia, stress, stanchezza) possono essere interpretate come segnali della nostra capacità o incapacità di affrontare una situazione. Imparare a gestire queste reazioni può migliorare l’autoefficacia.

Come applicarla:

  • Gestione dello stress e dell’ansia: Imparare tecniche di rilassamento, mindfulness, o strategie di gestione dello stress per interpretare le reazioni fisiologiche in modo meno minaccioso.
  • Interpretazione delle emozioni: Riconoscere che la tensione o l’ansia non sono necessariamente segni di incapacità, ma possono essere una normale reazione a una sfida.
  • Prendersi cura di sé: Un buon riposo, una sana alimentazione e l’attività fisica possono migliorare il benessere generale e influenzare positivamente la percezione delle proprie capacità.

Quando cercare un aiuto professionale

Se la mancanza di autoefficacia è profonda e persistente, limitando significativamente la vita di una persona e causando ansia, depressione o difficoltà relazionali, è consigliabile rivolgersi a un professionista.

  • Psicologi e Psicoterapeuti: Possono aiutare a individuare le radici della bassa autoefficacia, a lavorare sulle distorsioni cognitive (modi di pensare irrealistici o negativi), a sviluppare strategie di coping efficaci e a costruire una maggiore fiducia in sé. Terapie come la Terapia Cognitivo-Comportamentale (CBT) sono spesso efficaci in questi casi.
  • Coach: Possono aiutare a definire obiettivi, sviluppare piani d’azione e mantenere la motivazione, fornendo un supporto pratico nel percorso di sviluppo dell’autoefficacia.

In sintesi, la “cura” per la mancanza di autoefficacia percepita passa attraverso un percorso di consapevolezza, impegno e pratica, volto a costruire esperienze di successo, a imparare dagli altri e a sviluppare una mentalità più positiva e resiliente nei confronti delle proprie capacità.

L’Estremizzazione del Fenomeno: Il Caso Genoa-Sampdoria

La rivalità tra le tifoserie di Genoa e Sampdoria è nota per la sua intensità, ma in alcuni frangenti ha superato i confini della sana competizione, sfociando in atti che rivelano un profondo disagio psicologico e una preoccupante assenza di empatia. Prendiamo in esame due episodi emblematici che dimostrano come questo problema sia stato portato all’eccesso:

Il Tatuaggio della Vergogna: Celebrare la Sconfitta Avversaria sulla Propria Pelle

In un gesto di un’illogicità sconcertante, alcuni tifosi genoani hanno scelto di tatuarsi addosso i colori della Sampdoria, la squadra da loro più odiata, per celebrare la retrocessione di quest’ultima in Serie C. Questo atto, apparentemente un’esaltazione della sconfitta del “nemico”, è in realtà la manifestazione di un meccanismo psicologico contorto. Invece di celebrare i successi della propria squadra, il focus si sposta interamente sulla caduta dell’avversario. È come se la propria identità e felicità fossero indissolubilmente legate al fallimento dell’altro, al punto da volerlo imprimere indelebilmente sulla propria pelle. Questo rivela una fissazione morbosa e un’incapacità di trovare gratificazione e significato all’interno del proprio mondo, senza il costante confronto e la denigrazione dell’avversario.

Biglietti per l’Orrore: L’Umanità al Bivio

Ancora più inquietante è l’episodio che ha visto tifosi genoani acquistare biglietti per la partita Sampdoria-Salernitana con il chiaro intento di ostacolare il pieno sostegno alla Sampdoria. L’atto in sé, seppur discutibile, rientra nelle logiche estreme del tifo. Tuttavia, il modo in cui è stato realizzato ha superato ogni limite di decenza e umanità. L’acquisto dei biglietti utilizzando nomi di persone tragicamente scomparse per omicidio, come Yara Gambirasio, Chiara Poggi o Luca Vialli, rappresenta un punto di non ritorno.

Questo gesto non è più riconducibile a una semplice rivalità calcistica. Dimostra una totale assenza di empatia, una disumanizzazione dell’altro e una spaventosa indifferenza nei confronti del dolore altrui. La strumentalizzazione di vittime innocenti per fini di dileggio sportivo è un sintomo di una psiche gravemente disturbata, incapace di riconoscere il confine tra il gioco e la tragedia, tra la competizione e il rispetto per la vita umana. Questo comportamento non solo è riprovevole sul piano etico, ma può avere anche risvolti penali, data la gravità dell’atto e l’oltraggio alla memoria delle vittime e al dolore delle loro famiglie.

Oltre il Tifo: Una Riflessione Necessaria

Questi episodi ci impongono una riflessione profonda. Quando il godimento del fallimento altrui diventa l’unico motore, e quando l’odio per l’avversario supera ogni limite di decenza, ci troviamo di fronte a un campanello d’allarme. Non si tratta più di “tifo”, ma di una patologia sociale che, pur manifestandosi in un contesto sportivo, riflette dinamiche psicologiche più ampie e preoccupanti.

È fondamentale riconoscere che dietro a questi comportamenti si celano spesso individui con profonde insicurezze, frustrazioni inespresse e una scarsa capacità di elaborare emozioni in modo costruttivo. Invece di investire energie nella propria crescita personale, nella propria squadra o nei propri successi, queste persone si alimentano dell’odio e del risentimento, cadendo in un circolo vizioso che non porta a nulla di positivo.

Comprendere queste dinamiche è il primo passo per affrontare un problema che, se non arginato, può portare a conseguenze ben più gravi, mettendo in discussione i principi stessi di civiltà e rispetto reciproco. È tempo di guardare oltre la superficie del tifo e interrogarsi sul vero significato di queste manifestazioni estreme di rivalità.